Questo affresco fu realizzato da un autore ignoto nel XVI secolo e raffigura S. Antonio abate, la cui festa si celebra il 17 Gennaio.
Antonio nacque a Cuma (oggi Qumans) in Egitto intorno al 251 d.C. da una famiglia di agiati contadini, e divenuto orfano prima dei vent'anni donò i suoi averi ai poveri affidando la sorella ad una comunità femminile per vivere da anacoreta nel deserto, pregando e facendo lavori manuali che utilizzava per sopravvivere e fare la carità; tormentato dalle tentazioni si isolò ancora di più dal mondo facendosi rinchiudere in una tomba scavata nella roccia dove lottò duramente contro il demonio che lo tentava in ogni modo e arrivò a bastonarlo e ridurlo in fin di vita.
Una volta curato, si ritirò in antica fortezza romana abbandonata presso il Mar Rosso dove visse per 20 anni e dove accorse molta gente per stare con lui; allora il santo non volendo scacciarli si dedicò a loro operando anche guarigioni e liberazioni dai demonio. Si crearono così due comunità di monaci, che vivevano in grotte ma sotto la guida di un eremita più anziano e gli insegnamenti di Antonio.
Nel 311 il Antonio non esitò a lasciare il suo eremo per andare ad Alessandria a confortare e sostenere i cristiani durante le persecuzioni di Massimino Daia. Successivamente uscì sempre più spesso dal suo eremo per aiutare l'amico S. Atanasio vescovo di Alessandria nella lotta contro l'eresia ariana. Tornata la pace nell'impero si ritirò in solitudine nel deserto della Tebaide dove morì a 106 anni nel 356 d.C. Antonio l'anacoreta è detto nella Chiesa Ortodossa “il Grande” ed è considerato da tutta la cristianità il padre del monachesimo, ispirò S. Benedetto e il suo culto dall'oriente si diffuse in tutto il tutto il mondo.
In questo affresco il santo è ritratto come un uomo molto anziano, con una lunga e fluente barba bianca, le rughe in viso e le mani con le vene in rilievo; indossa un semplice saio marrone e un mantello da pellegrino scuro, mentre in una mano tiene un libro, molto semplice, forse i salterio dei monaci o un libro di preghiere.
L'altra mano tiene gli attributi classici del iconografia del santo: il bastone a forma di “tau” che ricorda la stampella degli ammalati, la prima lettera della parola greca “tauma”, ovvero prodigio, ed è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, simboleggiando così le “ultime cose”, la fine della vita terrena e l'inizio di quella celeste.
Era, insieme alla campanella, usata dai monaci per farsi sentire durante le questue per le strade, il simbolo degli “antoniniani”, ordine fondato nel 1088 a Vienne per curare i pellegrini e gli ammalati ispirandosi agli insegnamenti del santo.
Sulle labbra si nota un sorriso accennato che trasmette calma e tranquillità e gli occhi, lo specchio dell'anima, sono raffigurati dall'artista grandi come ad indicare che il santo grazie alla preghiera e al silenzio è riuscito ad allargare la sua anima e la sua percezione di Dio.
I suoi occhi sono però rivolti verso l'osservatore perché quando le persone avevano bisogno lui Antonio ha abbandonato la sicurezza del suo “stare vicino a Dio” per aiutare coloro che aveva bisogno di lui e far sentire la presenza del Signore a chi era in difficoltà.
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