San Michele In Foro: SS. Rocco, Sebastiano, Girolamo ed Elena 2a parte

2a parte (questa la 1a).

Accanto ai due santi della carità cristiana Filippino Lippi ha dipinto un dottore della Chiesa: S. Girolamo nacque nel 347 a Stridone (oggi in Croazia), si trasferì a Roma per completare gli studi e da lì a Treviri dove conobbe l'anacoresi egiziana diffusa da S. Atanasio. Giunto in Oriente si ritirò a vivere nel deserto siriano di Calcide, dove secondo la leggenda curò un leone che aveva una spina in una zampa e che da allora lo seguiva.
Deluso dalle diatribe sorte tra gli eremiti andò ad Antiochia dove fu eletto presbitero e poi nel 378 a Costantinopoli dove perfeziono lo studio del greco presso Gregorio di Nazianzo, uno dei Padri Cappadoci a cui si devono i maggiori contributi alla definizione della trinità nella versione definitiva del Simbolo Niceno (il Credo). Nel 382 andò a Roma dove divenne il segretario di papa Damaso e padre spirituale di un gruppo di donne che si dedicavano alla vita ascetica.
Alla morte del papa si ritirò in Oriente e fondò a Betlemme un monastero maschile e uno femminile dove visse fino alla morte nel 420 dedicandosi allo studio della Bibbia e alla sua traduzione dal greco e l'ebraico al latino, realizzando dopo 23 anni di impegno “la Vulgata”, la bibbia in latino, in gran parte utilizzata fino al Concilio Vaticano II.
L'artista lo raffigura come un uomo anziano che indossa la veste cardinalizia con un leone che si affaccia timoroso al suo fianco. In mano tiene la Bibbia, al cui studio e traduzione ha dedicato tutta la vita, convinto che la Parola debba essere il centro della vita di un cristiano.

Accanto a lui si trova S. Elena, madre dell'imperatrice Costantino: di umili origini, nacque intorno al 248 in Bitinia, remota provincia dell'Impero sulle sponde del Mar Nero, dove conobbe il tribuno Costanzo Cloro da cui nel 274 ebbe Costantino.
Fu ripudiata dal marito che per diventare Cesare, una sorta di vice-imperatore, dovette sposare la figliastra dell'imperatore Massimiano e visse lontano dalla corte imperiale.
Quando fu eletto imperatore il figlio che era molto legato a lei fu ricompensata con molti onori e il titolo di Augusta. Lei, fervente cristiana era solita durante le funzioni mescolarsi agli altri fedeli vestendosi umilmente, aiutava i poveri, che spesso invitava a pranzo nel suo palazzo e serviva personalmente.
Nel 327-28 compì un pellegrinaggio in Terra Santa per cercare i luoghi dove aveva vissuto Gesù. Durante questo viaggio fondò le basiliche della Natività a Betlemme e dell'Ascensione sul Monte degli Ulivi e rinvenne la vera Croce di Cristo.
Qui viene raffigurata avvolta in una veste bianca con sopra un mantello azzurro; in capo un acconciatura raffinata e il velo che scende a coprire le mani che tengono la croce.

Ai due santi della carità cristiana si affiancano dunque i santi che rimandano al fondamento della vita di un cristiano la Parola e la Croce.
Si riconosce nello stile del giovane Filippino l'apprendistato presso il Botticelli, da cui riprende l'uso delle linee e la raffinata grafia, e dimostra tutta la sua eccezionale perizia tecnica nella rappresentazione del velo di Elena. Filippino porta nel quadro un inquietudine particolare che traspare nelle mani dei santi, che si muovono nervose in pose contratte.
I santi sono disposti a diverse profondità e non comunicano tra loro ne guardano verso l'osservatore, ognuno ha un'espressione malinconica ed è immerso nella meditazione. Ironicamente l'unico che è rivolto verso l'osservatore è il leone.
L'elegante malinconia dei santi, che si stagliano su uno sfondo scuro, con rocce e alberi, è rischiarata dal caldo tramonto che si vede sulla destra.

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San Michele In Foro: SS. Rocco, Sebastiano, Girolamo ed Elena 1a parte

Questa tavola, dipinta nel 1482-83 da Filippino Lippi, era posta sull'altare, il primo a destra, fatto costruire da Francesco Magrini dopo la fine della pestilenza del 1476. Il dipinto faceva parte di una pala più ampia, divisa agli inizi del XVII secolo, quando il Decano fece costruire un nuovo altare.

Filippo, detto Filippino, Lippi è uno dei più grandi artisti italiani del Rinascimento: nacque nel 1457 dall'unione di Filippo, celebre pittore e frate carmelitano e Lucrezia Buti, una monaca che gli aveva fatto da modella per una “Madonna con Bambino”, una volta ottenuta da papa Pio II una dispensa dai voti grazie all'intercessione di Cosimo dei Medici. Filippino lavorò prima nella bottega paterna e poi in quella di Sandro Botticelli di cui seguì lo stile.

La permanenza a Lucca segnò la sua vita artistica grazie alla vivacità della città dove circolavano molte opere fiamminghe per via dei legami dei mercanti lucchesi con il Nord Europa. Poi dipinse a Firenze, Prato, Bologna, Spoleto e Roma, dove seppe reinterpretare l'arte classica per poi tornare a Firenze dove subirà l'influsso delle inquietudini religiose di Savonarola espresse in una pittura che diventa sempre più onirica. Morirà nel 1504.

Nella tavola sono presenti in primo piano 4 personaggi: a sinistra c'è S. Rocco, nato a Montpellier da una famiglia nobile intorno alla metà del XV secolo. Egli donò i suoi averi ai poveri per andare in pellegrinaggio a Roma ma giunto ad Acquapendente durante un'epidemia di peste si dedicò alla cura gli ammalati che aiutava e spesso guariva toccandoli.
A Piacenza, contratto il morbo, per non contagiare altre persone si ritirò in una grotta nutrito dai pezzi di pane che gli portava un cane; una volta guarito mentre stava ritornando a casa fu arrestato in Lombardia come spia e dopo 5 anni di prigionia morì, probabilmente tra 1376 e 1379.
Nella pala viene ritratto come un giovane viaggiatore: si protegge dal freddo con un mantello rosso, ai piedi calza degli stivali per affrontare le asperità delle strade e ripara la testa dal sole e dalla pioggia con un cappello dalla tesa larga; nella mano sinistre tiene il bastone del pellegrino mentre con l'altra si scosta il mantello scoprendo il bubbone di peste inciso.

In piedi accanto a lui c'è S. Sebastiano: nato a Milano nella seconda metà del III secolo, si trasferì a Roma dove intraprese la carriera militare fino a diventare nel 283 tribuno della prima coorte e amico dell'Imperatore Diocleziano.
Il santo, fervente cristiano, sosteneva i suoi compagni perseguitati e incarcerati, seppelliva quelli uccisi e diffondeva la nuova fede. Un giorno mentre era in carcere a sostenere due cristiani che stavano per abiurare, il suo volto si illuminò di una luce divina e convertì tutti i presenti compreso la moglie del capo della cancelleria imperiale a cui ridonò la voce dopo 5 anni di mutismo.
Questi fatti spinsero Diocleziano a far legare Sebastiano ad un palo e a farlo tempestare di frecce; creduto morto fu abbandonato agli animali e soccorso dagli angeli e da S. Irene, guarì, per poi presentarsi di nuovo davanti all'imperatore per convertirlo, ma questi lo fece flagellare a morte.
L'artista dipinge il santo, non nudo come nell'iconografia classica ma vestito come un paggio: un bel giovane efebico con la giacca scura vivacizzata dalle calze arancioni e dall'ampio mantello giallo. In mano reca un freccia e un piccolo ramo di palma, i simboli del martirio.

I due santi sono l'esempio della carità cristiana: Sebastiano portava la buona notizia ai pagani e sosteneva i compagni perseguitati rischiando il suo prestigio sociale, la sua carriera e infine la vita, così come la rischiava Rocco per curare gli appestati, abbandonati e scansati da tutti.
I Miracoli compiuti sono solo il segno di Dio presente e operante attraverso la carità cristiana che è relazione con l'altro senza timori e paure di perdere qualcosa di se.

(qui la 2a parte)

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Settimana 24 - 30 gen 2016 anno C



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San Michele In Foro: S. Antonio

Questo affresco fu realizzato da un autore ignoto nel XVI secolo e raffigura S. Antonio abate, la cui festa si celebra il 17 Gennaio.

Antonio nacque a Cuma (oggi Qumans) in Egitto intorno al 251 d.C. da una famiglia di agiati contadini, e divenuto orfano prima dei vent'anni donò i suoi averi ai poveri affidando la sorella ad una comunità femminile per vivere da anacoreta nel deserto, pregando e facendo lavori manuali che utilizzava per sopravvivere e fare la carità; tormentato dalle tentazioni si isolò ancora di più dal mondo facendosi rinchiudere in una tomba scavata nella roccia dove lottò duramente contro il demonio che lo tentava in ogni modo e arrivò a bastonarlo e ridurlo in fin di vita.
Una volta curato, si ritirò in antica fortezza romana abbandonata presso il Mar Rosso dove visse per 20 anni e dove accorse molta gente per stare con lui; allora il santo non volendo scacciarli si dedicò a loro operando anche guarigioni e liberazioni dai demonio. Si crearono così due comunità di monaci, che vivevano in grotte ma sotto la guida di un eremita più anziano e gli insegnamenti di Antonio.
Nel 311 il Antonio non esitò a lasciare il suo eremo per andare ad Alessandria a confortare e sostenere i cristiani durante le persecuzioni di Massimino Daia. Successivamente uscì sempre più spesso dal suo eremo per aiutare l'amico S. Atanasio vescovo di Alessandria nella lotta contro l'eresia ariana. Tornata la pace nell'impero si ritirò in solitudine nel deserto della Tebaide dove morì a 106 anni nel 356 d.C. Antonio l'anacoreta è detto nella Chiesa Ortodossa “il Grande” ed è considerato da tutta la cristianità il padre del monachesimo, ispirò S. Benedetto e il suo culto dall'oriente si diffuse in tutto il tutto il mondo.

In questo affresco il santo è ritratto come un uomo molto anziano, con una lunga e fluente barba bianca, le rughe in viso e le mani con le vene in rilievo; indossa un semplice saio marrone e un mantello da pellegrino scuro, mentre in una mano tiene un libro, molto semplice, forse i salterio dei monaci o un libro di preghiere.
L'altra mano tiene gli attributi classici del iconografia del santo: il bastone a forma di “tau” che ricorda la stampella degli ammalati, la prima lettera della parola greca “tauma”, ovvero prodigio, ed è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, simboleggiando così le “ultime cose”, la fine della vita terrena e l'inizio di quella celeste.
Era, insieme alla campanella, usata dai monaci per farsi sentire durante le questue per le strade, il simbolo degli “antoniniani”, ordine fondato nel 1088 a Vienne per curare i pellegrini e gli ammalati ispirandosi agli insegnamenti del santo.
Sulle labbra si nota un sorriso accennato che trasmette calma e tranquillità e gli occhi, lo specchio dell'anima, sono raffigurati dall'artista grandi come ad indicare che il santo grazie alla preghiera e al silenzio è riuscito ad allargare la sua anima e la sua percezione di Dio.
I suoi occhi sono però rivolti verso l'osservatore perché quando le persone avevano bisogno lui Antonio ha abbandonato la sicurezza del suo “stare vicino a Dio” per aiutare coloro che aveva bisogno di lui e far sentire la presenza del Signore a chi era in difficoltà.

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Settimana 17 - 23 gen 2016 anno C



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San Michele In Foro: Sposalizio della Vergine di Agostino Marti


Questo quadro, in origine sull'altare di Giuseppe, fu commissionato dalla Confraternita di S. Giuseppe ad Agostino Marti che lo terminò nel 1523.

Questo pittore lucchese, battezzato proprio in S. Michele nel 1482, lavorò prima nella bottega orafa del padre e poi in quella pittorica di Michelangelo di Pietro Membrini.

Nel 1509 era già un maestro e affrescò una cappella nella vecchia chiesa di S. Paolino, demolita pochi anni dopo per far posto all'attuale.
Questa tavola è considerata il suo capolavoro e segna un cambiamento nel suo stile, probabilmente dovuto ad un viaggio a Roma dove vide le opere di Michelangelo e Raffaello.

La scena raffigura il matrimonio tra Maria e Giuseppe come se fossero le nozze di due ricchi personaggi del tempo. Giuseppe sulla sinistra indossa una tunica blu con le maniche rosse intonate alla calzamaglia, il tutto avvolto da un fluente mantello giallo. Maria sfoggia una complessa acconciatura e un raffinato abito dello stesso rosso dello sposo ma bianco sul petto dove è arricchito da un gioiello; l'ampio mantello della donna è blu con la fodera che riprende il giallo di quello dello sposo, in modo che anche i colori degli abiti concorrano a trasmettere l'unità della coppia.

Al centro della scena si trova il sacerdote, raffigurato come un patriarca biblico con la fluente barba grigia, che indossa un fantasioso copricapo di gusto esotico e un ricco gioiello pettorale sopra una veste sacerdotale. Dietro lo sposo troviamo un gruppo di uomini mentre alle spalle di Maria una schiera di donne: si tratta dei pretendenti di Maria e delle altre vergini del tempio.
Nei vangeli apocrifi si dice che Maria fosse stata assegnata al tempio e che per stabilire il suo sposo i pretendenti avrebbero dovuto dormire una notte al tempio con una bastone: la mattina sarebbe fiorito quello del prescelto. Lo sfondo è un'architettura indistinta di cui si distingue solo un'esedra sul muro di fondo ai lati della quale si affacciano delle figure: dei fanciulli che si sporgono curiosi a vedere la scena, un uomo di spalle, disinteressato, un altro che gesticola. L'artista affolla la scena di personaggi, fortemente caratterizzati nelle espressioni del volto e nelle pose, con abiti colorati che creano un senso di vivacità e movimento caotico che esalta la calma e la solennità della coppia; mentre intorno a loro si agita l'umanità al centro della scena regna la pace.

Tutti e tre i personaggi Maria, Giuseppe e il sacerdote convergono lo sguardo sul gesto che è al centro di tutta la composizione: Giuseppe mette al dito di Maria l'anello nuziale con il sacerdote ad unire la coppia tenendo i polsi degli sposi. Quello che sembrava essere un evento mondano si rivela una fondamentale tappa del piano di Salvezza di Dio: Giuseppe e Maria accettano di farne parte con lo scambio degli anelli e il loro dire “si” non solo l'uno all'altro ma all'intero progetto di Dio; in questo “si” c'è l' “eccomi, avvenga di me quello che hai detto” di Maria all'annuncio dell'angelo e c'è l'obbedienza silenziosa di Giuseppe che quando l'angelo gli dice di prendere con se Maria “fece quanto l'angelo del Signore gli aveva ordinato”.

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San Michele In Foro: Madonna della Robbia

Questa scultura è stata realizzata tra il 1440 e il 1460 in terracotta invetriata, una tecnica che prevedeva il modellamento dell'argilla nella forma desiderata per poi rivestirla con uno smalto di ossido di stagno e ossido di piombo unito a sabbie silicee che vetrificavano una volta cotta nel forno, donando alla statua resistenza e l'effetto lucido. L'autore di questa Madonna con Bambino è proprio l'inventore di questa tecnica, Luca della Robbia, uno dei più importanti artisti del Rinascimento fiorentino: nato a Firenze intorno al 1400 in una famiglia di tintori, da giovanissimo apprese l'arte orafa per poi abbandonarla per la scultura. Lavorò a Firenze in particolare in S. Maria Del Fiore insieme ai più importanti artisti della corte medicea come Ghiberti, Donatello, Leon Battista Alberti e Brunelleschi. L'interesse per le sculture in terracotta dell'antichità lo convinse a sperimentare un modo per renderle resistenti alle intemperie e lo portò all'invenzione dell'invetriatura con cui rivestirle, che lo rese tanto celebre da costringerlo a instaurare una bottega e a dedicarsi solo alla realizzazione di queste terrecotte, che da lui presero anche il nome di “robbiane”.

In questa scultura la Madonna è ritratta come una giovanissima madre dell'epoca: sotto il velo i capelli sono acconciati, secondo la moda così come i vestiti che indossa, una veste stretta sotto il seno da una cintura, il mantello drappeggiato sulle braccia che scopre la manica stretta al polso. L'artista realizza con un'abilità straordinaria le pieghe dei vestiti riuscendo ad evidenziare il corpo della donna e a rendere la consistenza dei vestiti reali, come potevano essere addosso ad una sua contemporanea.

L'espressione del volto, molto elegante e aristocratica è in realtà pensierosa: Maria è sempre intenta a meditare sul piano di salvezza; infatti quando i pastori vengono a rendere omaggio a Gesù Bambino l'evangelista Luca ci dice che “Maria serbava tutte queste cose meditandole nel cuore suo”. Il volto di Maria è rivolto verso di noi come per coinvolgerci nel mistero dell'incarnazione.

Gesù è ritratto in una posa estremamente dinamica e rivolta verso l'osservatore come se volesse saltare via da Maria e venirci incontro. Il gesto della mano è quello della benedizione, che è il segno della presenza di Dio: infatti, “bene dire” una persona vuol dire invocare la presenza di Dio su di essa. Luca ci narra che Gesù ascende al cielo proprio mentre benedice i suoi, come a sottolineare che lui sarà sempre con loro. Luca della Robbia, espressione di un '”Umanesimo” che mette l'uomo al centro della filosofia e dell'arte e che lascia il segno anche in una spiritualità vivace che nel '400 è sempre sempre più attenta all'umanità di Maria. Con l'espressione pensierosa del volto di Maria e la posa di Gesù presenta all'osservatore una donna che accetta il piano di salvezza di Dio e offre il suo figlio al mondo, un figlio Verbo di Dio che viene incontro all'umanità incarnandosi e benedicendola con la sua parola che è Salvezza.

(Francesco Niccoli)

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