Questo quadro che raffigura il Martirio di S. Andrea, la cui festa si celebra il 30 novembre, è stato realizzato nel 1635 da Pietro Paolini, uno dei più grandi pittori caravaggeschi toscani: nato a Lucca nel 1603, ma formatosi artisticamente a Roma dove vide di persona i quadri di Caravaggio e dei suoi seguaci, dopo aver conosciuto anche l'arte bolognese e veneta, tornò nel 1631 alla sua città natale, dove fondò un'accademia di pittura.
Andrea, fratello di Pietro, era discepolo di Giovanni ma quando sente dire dal suo maestro che Gesù è l'Agnello di Dio subito lo segue e dopo averci parlato è il primo tra gli Apostoli a riconoscerlo come Messia per poi farlo conoscere anche al fratello. Successivamente mentre pescava ricevette la chiamata di Cristo che promise di farlo diventare “Pescatore di Uomini”; era presente insieme a Gesù sul Monte degli Ulivi durante il “discorso escatologico” sui segni e su come prepararsi alla venuta del Signore. Secondo la tradizione evangelizzò l'Asia Minore e nella Russia meridionale per poi stabilirsi in Grecia a Patrasso dove guidò la comunità Cristiana e subì il martirio, intorno al 60 d.C. E' patrono delle sede episcopale di Costantinopoli, della Romania, della Russia e della Scozia, che reca la croce detta di S. Andrea nella propria bandiera.
Pietro Palini raffigura qui il santo mentre va in contro al suo martirio: viene spogliato degli abiti per poi essere appeso su una croce a forma di X che lui stesso aveva voluto, perché ricordava l'iniziale greca di Cristo.
La composizione è molto complessa e ricca di personaggi, rappresentati in maniera naturalistica, simili a quelli che si potevano incontrare nelle vie e nelle piazze al tempo dell'artista: in alto un ufficiale, protetto da un'armatura seicentesca, da cavallo impartisce ordini con un movimento imperioso del braccio, un uomo regge la croce e guarda verso il suo compagno in basso.
Sul lato destro un uomo barbuto regge un libro e guarda il santo, mentre l'altra guardia con il turbante si gira verso lo spettatore per coinvolgerlo nella scena.
Sullo sfondo la folla che si raduna a vedere l'esecuzione e in alto sulla destra edifici che richiamano l'architettura antica e il cielo. Al centro della composizione dove converge una sapiente girandola di sguardi dei personaggi è il volto del santo che con espressione mistica si rivolge verso la croce, in cima alla quale appare un angelo con la corona: la croce non è per il santo un segno di morte ma per glorioso simbolo di salvezza per chi come Andrea testimonia con la sua vita la fede in Cristo.
San Michele In Foro: S. Caterina d'Alessandria
Questo quadro, realizzato da Antonio Franchi, detto “Il Lucchese”, nella seconda metà del XVII secolo raffigura S. Caterina d'Alessandria, la cui festa si celebra il 25 novembre. Il pittore, che lavorò per importanti famiglie come i Buonvisi e gli Strozzi, nacque a Villa Basilica nel 1634 e dopo essere cresciuto artisticamente a Lucca si trasferì a Firenze dove, grazie alla sua abilità che spaziava dal barocco romano al classicismo con influssi veneziani, divenne il ritrattista ufficiale della corte medicea; fu anche un uomo di grande cultura con interessi che spaziavano dalla filosofia alla matematica fino alla meccanica e alla fisica, praticata seguendo il metodo di ricerca di Galileo.
S. Caterina viene qui ritratta come una giovane fanciulla di ottima famiglia, con indosso un bell'abito e in capo una corona a impreziosirne l'acconciatura; il viso è molto individualizzato, come se fosse il ritratto di una dama contemporanea in carne e ossa. La figura, in piedi accanto ad un angelo, che tiene in mano un giglio simbolo di verginità, è avvolta da un mantello giallo che ricade in ampie pieghe di gusto classico. La giovane in mano reca i suoi attributi, la palma del martirio e un frammento di ruota dentata: Caterina era infatti una bellissima ragazza cristiana, secondo la leggenda figlia di un re e istruita fin da giovane nelle arti liberali, vissuta ad Alessandria d'Egitto alla fine del III secolo.
Durante le celebrazione per un imperatore romano, probabilmente Massimino Daia, le fu chiesto di offrire sacrifici, ma lei rifiutò e chiese all'imperatore di riconoscere Cristo come salvatore; egli, però, colpito dalla sua bellezza chiamo i migliori retori della città per convincerla a compiere i sacrifici e a sposarlo. Fu però Caterina a convertire miracolosamente tutti i retori, per questo condannati a morte insieme a lei: la donna fu mandata al supplizio della ruota dentata che però si ruppe, costringendo l'imperatore a farla decapitare.
La Santa non è posta al centro della composizione, ma spostata di lato per far posto, non tanto all'angelo, ma alla luce dorata, simbolo di Dio, che si trova così protagonista insieme a lei del quadro. Dalla luce e dal suo sapiente utilizzo, dipendono la varietà dei colori: l'incarnato del volto di Caterina è reso pallido dalla luce dorata, mentre i piedi e l'angelo, in parte coperti dalle nubi, sfoggiano molteplici toni di rosa, così come sono tantissime le sfumature di grigio delle nubi. Lo sfondo con le nubi e la luce divina vuole annullare le pareti della chiesa e aprire uno squarcio sul paradiso dal quale si affaccia la Santa per mettersi in posa davanti all'artista.
San Michele In Foro: MADONNA CON BAMBINO di Braccio e Raffaello da Montelupo
Questo altorilievo in marmo bianco faceva parte di un sepolcreto realizzato nel 1520-1523, da Baccio e Raffaello da Montelupo in onore di Silvestro Gigli, vescovo di Worcester e ambasciatore del re d'Inghilterra Enrico VIII presso la Santa Sede.
Questi fu un personaggio importantissimo della storia lucchese del primo Cinquecento e di questa chiesa: dal punto di vista istituzionale trasformò S. Michele da Priorato dipendente dal Vescovo a Collegiata soggetta solo alla Santa Sede, retta da un Decano scelto dalla famiglia Gigli che aveva il giuspatronato sulla chiesa. Silvestro Gigli, fornì gli edifici da demolire per realizzare a fianco della chiesa il nuovo palazzo, realizzato da Francesco Marti, che al piano terrà ospitò la famiglia Cenami mentre al primo la sede del Decano e dei Canonici.
Della realizzazione del monumento funebre di un personaggio così importante furono incaricati due celebri artisti: Bartolomeo Sinibaldi, detto Braccio da Montelupo, studiò con l'amico Michelangelo Buonarroti e a Lucca fece il progetto della Chiesa di S. Paolino; è considerato il tramite tra la scultura quattrocentesca, ispirata a Donatello, e la nuova scultura del XVI secolo che aveva come modello Michelangelo. Il figlio Raffaele, detto Raffaello, imparò dal padre e lavorò a Roma nella cerchia di Raffaello Sanzio per poi essere scelto da Michelangelo in persona come suo collaboratore a cui commissionò molte opere sotto la sua direzione.
La scultura doveva essere posto in cima al monumento, probabilmente composto da un sarcofago, con la statua del morto adagiata sopra come se dormisse, all'interno di una struttura architettonica complessa.
La Madonna ha il capo coperto da un velo che si increspa e si fonde con le pieghe dell'abito a far risaltare un corpo, non etereo e idealizzato, ma voluminoso e vivo. Il volto di Maria è pacato e sereno, così come quello del bambino che tiene in braccio. Ma la posa del Bambino, rivolto verso l'osservatore, che a prima vista può sembrare ieratica per la mano destra sollevata nell'atto di benedire, è animata dalla mano sinistra teneramente appoggiata a quella della madre. Anche il corpo del bambino è molto realistico, paffuto e con i piedi che si appoggiano instabili sulle ginocchia di Maria. Gli artisti, animano il linguaggio classicista presentando dei corpi voluminosi e credibili e ci presentano una Madonna e un Gesù bambino umani e vivi, per l'osservatore una presenza concreta e quasi familiare.
San Michele In Foro: S. ANDREA AVELLINO
Questo quadro fu dipinto nel XVIII secolo da un autore purtroppo a noi rimasto sconosciuto che qui
ritrasse S. Andrea Avellino: il santo, nato a Castronovo (PZ) col nome di Lancellotto, si dedicò agli
studi giuridici e dopo aver frequentato gli esercizi spirituali del gesuita padre Diego Lainez, che
costituirono il momento della sua vera conversione, decise di vivere lottando contro i moti istintivi
della propria volontà e cercando di fare ogni giorno un passo nella via della perfezione.
Nel 1545 fu ordinato sacerdote e nel 1556, cambiando il suo nome in Andrea in onore dell'Apostolo, entrò a Napoli nell'Ordine dei Chierici Regolari Teatini, un ordine fondato nel XVI secolo da San Gaetano Thiene e Gian Pietro Carafa con lo scopo di riportare il clero alla vita apostolica autentica.
Dopo essersi dedicato a profondi studi teologici e all'insegnamento ai novizi, S. Carlo Borromeo nel 1570 lo volle a Milano per aiutarlo nella riforma della chiesa ambrosiana, secondo gli esiti del concilio di Trento. Ritornato a Napoli, si adoperò per pacificare i tumulti scoppiati nel 1585 e mise a disposizione dei bisognosi le risorse della sua famiglia religiosa.
Il dipinto raffigura il momento della sua morte, avvenuta il 10 dicembre del 1608 mentre si apprestava a celebrare la messa.
La composizione sapiente ed equilibrata, è caratterizzata da forti chiaroscuri, con una luce che proviene dall'alto. A sinistra c'è il santo, con indosso gli abiti sacerdotali, mentre sviene, sorretto da una persona; dalla parte opposta l'altare con sopra il Vangelo: la Mensa e la Parola. Al centro in basso un officiante viene incontro ad Andrea porgendo una croce e alzando il palmo della mano come a calmare l'ansia di chi sorregge il santo e a dare un'ultima benedizione. L'espressione è serena, sa che Andrea sta andando incontro a Dio.
Lo sfondo, a tinte cupe, riesce a fondere insieme l'ambiente reale della chiesa in cui si svolge la scena con quello della visione mistica di Andrea morente. Si vede, infatti, al posto delle pareti e del tetto dell'edificio un cielo popolato da angeli: il paradiso che si apre per accogliere il santo. Gli angeli, infatti, si dispongono ai lati lasciando al centro uno spazio, come per far posto a S. Andrea Avellino, un uomo che a vissuto la sua vita per diventare un uomo migliore, e far diventare il mondo in cui viveva un posto migliore, insegnando, non solo a parole ma con il suo esempio, ad essere “operatori di pace” e a ricercare Dio.
Nel 1545 fu ordinato sacerdote e nel 1556, cambiando il suo nome in Andrea in onore dell'Apostolo, entrò a Napoli nell'Ordine dei Chierici Regolari Teatini, un ordine fondato nel XVI secolo da San Gaetano Thiene e Gian Pietro Carafa con lo scopo di riportare il clero alla vita apostolica autentica.
Dopo essersi dedicato a profondi studi teologici e all'insegnamento ai novizi, S. Carlo Borromeo nel 1570 lo volle a Milano per aiutarlo nella riforma della chiesa ambrosiana, secondo gli esiti del concilio di Trento. Ritornato a Napoli, si adoperò per pacificare i tumulti scoppiati nel 1585 e mise a disposizione dei bisognosi le risorse della sua famiglia religiosa.
Il dipinto raffigura il momento della sua morte, avvenuta il 10 dicembre del 1608 mentre si apprestava a celebrare la messa.
La composizione sapiente ed equilibrata, è caratterizzata da forti chiaroscuri, con una luce che proviene dall'alto. A sinistra c'è il santo, con indosso gli abiti sacerdotali, mentre sviene, sorretto da una persona; dalla parte opposta l'altare con sopra il Vangelo: la Mensa e la Parola. Al centro in basso un officiante viene incontro ad Andrea porgendo una croce e alzando il palmo della mano come a calmare l'ansia di chi sorregge il santo e a dare un'ultima benedizione. L'espressione è serena, sa che Andrea sta andando incontro a Dio.
Lo sfondo, a tinte cupe, riesce a fondere insieme l'ambiente reale della chiesa in cui si svolge la scena con quello della visione mistica di Andrea morente. Si vede, infatti, al posto delle pareti e del tetto dell'edificio un cielo popolato da angeli: il paradiso che si apre per accogliere il santo. Gli angeli, infatti, si dispongono ai lati lasciando al centro uno spazio, come per far posto a S. Andrea Avellino, un uomo che a vissuto la sua vita per diventare un uomo migliore, e far diventare il mondo in cui viveva un posto migliore, insegnando, non solo a parole ma con il suo esempio, ad essere “operatori di pace” e a ricercare Dio.
San Michele In Foro: S. FILOMENA di Stefano Lembi
Questo quadro, realizzato nel 1867 da Stefano Lembi, rappresenta S. Filomena affiancata da due angeli recanti gli attributi che permettevano ai fedeli di riconoscerla: il linguaggio pittorico è molto lineare e pulito, privo di forti chiaroscuri e di effetti coloristici.
Lo sfondo è semplificato, con un cielo limpido, il mare piatto e un terreno roccioso. La composizione è semplice, le pose sono ieratiche e i volti poco espressivi, lo scopo dell'artista non è commuovere il fedele ma presentare con semplicità la santa e renderla subito riconoscibile. L'angelo di destra tiene in mano un giglio simbolo di verginità mentre l'altro angelo un'ancora. La santa è raffigurata con una mano al petto e l'altra che tiene una palma, simbolo del martirio e una freccia che rimanda insieme all'ancora alla sua passione.
La storia di questa santa è una delle più misteriose, tanto che negli anni '60 fu rimossa dal calendario romano per mancanza di notizie certe, nonostante la forte devozione popolare.
Nel 1802 vennero ritrovati i suoi resti in un loculo delle catacombe di Priscilla, coperti da tre tegole, recanti la scritta “Pax tecum Filomena”, e un vaso con una sostanza scura creduta sangue. Della sua biografia però non si seppe niente finché nel 1833 suor Maria Luisa di Gesù, ebbe la “rivelazione” dalla santa stessa con visioni del suo martirio: Filomena era la figlia di un re della Grecia, giunta con suo Padre a Roma in occasione di un trattato di Pace con l'imperatore Diocleziano che si innamorò di lei e la volle in sposa; la fanciulla però rifiutò perché aveva consacrato la sua verginità a Cristo. L'imperatore, irato, la fece flagellare, ma ad ogni colpo la giovane guariva miracolosamente, allora la fece legare ad un ancora e gettare in mare ma la fune si spezzo e la santa tornò in superficie; decise poi di farla trafiggere da frecce, ma queste deviavano miracolosamente per non colpirla, infine l'imperatore fu costretto a decapitarla.
Il pittore quindi vuole trasmettere nella maniera più semplice possibile senza orpelli ne sfoggio di bravura tecnica, l'esempio di una donna che ha rinunciato a essere la moglie dell'imperatore ed è andata incontro alla morte pur di rimanere fedele a Dio.
Lo sfondo è semplificato, con un cielo limpido, il mare piatto e un terreno roccioso. La composizione è semplice, le pose sono ieratiche e i volti poco espressivi, lo scopo dell'artista non è commuovere il fedele ma presentare con semplicità la santa e renderla subito riconoscibile. L'angelo di destra tiene in mano un giglio simbolo di verginità mentre l'altro angelo un'ancora. La santa è raffigurata con una mano al petto e l'altra che tiene una palma, simbolo del martirio e una freccia che rimanda insieme all'ancora alla sua passione.
La storia di questa santa è una delle più misteriose, tanto che negli anni '60 fu rimossa dal calendario romano per mancanza di notizie certe, nonostante la forte devozione popolare.
Nel 1802 vennero ritrovati i suoi resti in un loculo delle catacombe di Priscilla, coperti da tre tegole, recanti la scritta “Pax tecum Filomena”, e un vaso con una sostanza scura creduta sangue. Della sua biografia però non si seppe niente finché nel 1833 suor Maria Luisa di Gesù, ebbe la “rivelazione” dalla santa stessa con visioni del suo martirio: Filomena era la figlia di un re della Grecia, giunta con suo Padre a Roma in occasione di un trattato di Pace con l'imperatore Diocleziano che si innamorò di lei e la volle in sposa; la fanciulla però rifiutò perché aveva consacrato la sua verginità a Cristo. L'imperatore, irato, la fece flagellare, ma ad ogni colpo la giovane guariva miracolosamente, allora la fece legare ad un ancora e gettare in mare ma la fune si spezzo e la santa tornò in superficie; decise poi di farla trafiggere da frecce, ma queste deviavano miracolosamente per non colpirla, infine l'imperatore fu costretto a decapitarla.
Il pittore quindi vuole trasmettere nella maniera più semplice possibile senza orpelli ne sfoggio di bravura tecnica, l'esempio di una donna che ha rinunciato a essere la moglie dell'imperatore ed è andata incontro alla morte pur di rimanere fedele a Dio.
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