QUELLA NAVE SIAMO NOI
Il nostro Dio è un Dio che si fa carne, scende nella nostra esperienza umana e la trasforma. E’ questo il “tempo opportuno”, quel tempo che “è compiuto” -come afferma Gesù nel vangelo odierno– quel tempo dove Dio si manifesta attraverso gli avvenimenti e gli incontri.
La nave “Concordia” naufragata al largo dell’isola del Giglio è emblema di questo tempo - un “oggi”, “qui e adesso”- che chiede di essere decifrato e accolto. Ci piace perciò riprendere quanto Marina Corradi scriveva sul quotidiano “Avvenire” il 19 gennaio u.s. riportando l’analisi del professor Ruggero Eugeni, docente di Semiotica e direttore dell’Almed, Alta scuola in media e comunicazione dell’Università Cattolica. “Quella nave, siamo noi. L’ammiraglia della Costa ferita e arenata, metafora dell’Italia in questo frangente di crisi; e i media attorno che tessono, attorno al naufragio, una sorta di epopea da cui non riusciamo a staccarci […] Certo l’ammiraglia arenata, semiaffondata, è una trasparente metafora dell’Italia nelle ambasce della crisi economica internazionale. L’identificazione più o meno cosciente della nave con il nostro Paese spiega la potenza magnetica con cui questa vicenda ci attrae».
«Schettino è stato rappresentato coralmente dai media come l’antitaliano, o meglio come il volto dell’Italia che non vogliamo essere, scorretta, irresponsabile, incompetente. Quell’ufficiale della Capitaneria di porto invece, con il suo semplice esortare bruscamente «Comandante, torni a bordo!», è avvertito come il richiamo a un’etica della professionalità e della responsabilità. Rappresenta un’Italia che non vuole lasciare nulla di intentato per uscire dalla crisi, in un frangente grave. Come dicevo: la sciagura della Concordia si è fatta una grande epopea carica di pathos, fortemente metaforica».
Così che gli italiani stanno a guardare il gigante arenato sugli scogli, quella grande fiera nave ferita.
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Il nostro Dio è un Dio che si fa carne, scende nella nostra esperienza umana e la trasforma. E’ questo il “tempo opportuno”, quel tempo che “è compiuto” -come afferma Gesù nel vangelo odierno– quel tempo dove Dio si manifesta attraverso gli avvenimenti e gli incontri.
La nave “Concordia” naufragata al largo dell’isola del Giglio è emblema di questo tempo - un “oggi”, “qui e adesso”- che chiede di essere decifrato e accolto. Ci piace perciò riprendere quanto Marina Corradi scriveva sul quotidiano “Avvenire” il 19 gennaio u.s. riportando l’analisi del professor Ruggero Eugeni, docente di Semiotica e direttore dell’Almed, Alta scuola in media e comunicazione dell’Università Cattolica. “Quella nave, siamo noi. L’ammiraglia della Costa ferita e arenata, metafora dell’Italia in questo frangente di crisi; e i media attorno che tessono, attorno al naufragio, una sorta di epopea da cui non riusciamo a staccarci […] Certo l’ammiraglia arenata, semiaffondata, è una trasparente metafora dell’Italia nelle ambasce della crisi economica internazionale. L’identificazione più o meno cosciente della nave con il nostro Paese spiega la potenza magnetica con cui questa vicenda ci attrae».
«Schettino è stato rappresentato coralmente dai media come l’antitaliano, o meglio come il volto dell’Italia che non vogliamo essere, scorretta, irresponsabile, incompetente. Quell’ufficiale della Capitaneria di porto invece, con il suo semplice esortare bruscamente «Comandante, torni a bordo!», è avvertito come il richiamo a un’etica della professionalità e della responsabilità. Rappresenta un’Italia che non vuole lasciare nulla di intentato per uscire dalla crisi, in un frangente grave. Come dicevo: la sciagura della Concordia si è fatta una grande epopea carica di pathos, fortemente metaforica».
Così che gli italiani stanno a guardare il gigante arenato sugli scogli, quella grande fiera nave ferita.
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