TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO
Questa domenica conclude il ciclo liturgico della “manifestazione del Signore” iniziata con il Natale, proseguita con la celebrazione di Maria Madre di Dio e rivelata pienamente dall’Epifania. Il Figlio di Dio si è “manifestato” al mondo prendendo carne umana, nascendo da una donna, in un determinato periodo storico, come ciascuno di noi.
L’Epifania ci ha annunciato che questa venuta è salvezza per tutta l’umanità; la celebrazione di oggi ci aiuta a comprendere la realtà nuova alla quale ormai partecipiamo: siamo divenuti “figli” nel “Figlio”; è un dono per noi, ma anche una responsabilità che conduce a comunicare ad altri la speranza che abbiamo incontrato divenendo cristiani.
Dal momento del battesimo Gesù cominciò a “fare e ad insegnare” perché lo Spirito Santo lo riempiva della sua potenza e del suo amore. L’immersione nel Giordano ha costituito per lui l’inizio ufficiale della sua missione di Salvatore, mandato dal Padre a fasciare i cuori spezzati, a rimettere in cammino chi era senza speranza, a donare possibilità di Vita a chi l’aveva perduta.
E noi? Siamo consapevoli che il battesimo ricevuto nel Nome del Signore Gesù apre le stesse prospettive? Dobbiamo riconoscere che, purtroppo, quell’evento, che il catechismo ci ha insegnato a considerare l'inizio di un impegnativo cammino, spesso si scolora col passare del tempo, rimane nel cassetto dei ricordi come la veste bianca e la candela. Lo straordinario è rimasto un lontano straordinario e non ha dato frutti, perché non si è impastato col quotidiano.
Abbiamo bisogno di ripensare il nostro battesimo.
Cosa significa definirci (forse con un po' di leggerezza) figli di Dio e fratelli in Cristo? Riusciamo a trasmettere in qualche modo la testimonianza di una sequela che esige l'apertura docile allo Spirito, nel segno di una continua conversione e di un vigile d i s c e r n i m e n t o ?
E cosa comporta definirsi membri di una comunità di "salvati"? Quale comunità?
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Questa domenica conclude il ciclo liturgico della “manifestazione del Signore” iniziata con il Natale, proseguita con la celebrazione di Maria Madre di Dio e rivelata pienamente dall’Epifania. Il Figlio di Dio si è “manifestato” al mondo prendendo carne umana, nascendo da una donna, in un determinato periodo storico, come ciascuno di noi.
L’Epifania ci ha annunciato che questa venuta è salvezza per tutta l’umanità; la celebrazione di oggi ci aiuta a comprendere la realtà nuova alla quale ormai partecipiamo: siamo divenuti “figli” nel “Figlio”; è un dono per noi, ma anche una responsabilità che conduce a comunicare ad altri la speranza che abbiamo incontrato divenendo cristiani.
Dal momento del battesimo Gesù cominciò a “fare e ad insegnare” perché lo Spirito Santo lo riempiva della sua potenza e del suo amore. L’immersione nel Giordano ha costituito per lui l’inizio ufficiale della sua missione di Salvatore, mandato dal Padre a fasciare i cuori spezzati, a rimettere in cammino chi era senza speranza, a donare possibilità di Vita a chi l’aveva perduta.
E noi? Siamo consapevoli che il battesimo ricevuto nel Nome del Signore Gesù apre le stesse prospettive? Dobbiamo riconoscere che, purtroppo, quell’evento, che il catechismo ci ha insegnato a considerare l'inizio di un impegnativo cammino, spesso si scolora col passare del tempo, rimane nel cassetto dei ricordi come la veste bianca e la candela. Lo straordinario è rimasto un lontano straordinario e non ha dato frutti, perché non si è impastato col quotidiano.
Abbiamo bisogno di ripensare il nostro battesimo.
Cosa significa definirci (forse con un po' di leggerezza) figli di Dio e fratelli in Cristo? Riusciamo a trasmettere in qualche modo la testimonianza di una sequela che esige l'apertura docile allo Spirito, nel segno di una continua conversione e di un vigile d i s c e r n i m e n t o ?
E cosa comporta definirsi membri di una comunità di "salvati"? Quale comunità?
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