Riflessione per la Domenica 18 gennaio Seconda del Tempo Ordinario

COSA CERCATE?

Due discepoli lasciano il vecchio maestro e si mettono in cammino dietro a un giovane rabbi di cui ignorano tutto, tranne una definizione folgorante: “Ecco l'agnello di Dio”.

Con Gesù Dio non chiede più agnelli in sacrificio, è Lui che si fa agnello, e sacrifica se stesso. “Ecco colui che toglie i peccati del mondo”. Il peccato del mondo non è la cattiveria: l'uomo è fragile, ma non cattivo; il peccatore è un ingannato: alle strade che il vangelo propone ne preferisce altre che crede più intelligenti, o più felici. Togliere il peccato del mondo è guarire da quel deficit d'amore e di sapienza che fa povera la vita.

Gesù si voltò e disse loro: “Che cosa cercate?” Le prime parole lungo il fiume sono del tutto simili alle prime parole del Risorto nel giardino: Donna, chi cerchi? Due domande in cui troviamo la definizione dell'uomo: un essere di ricerca, con un punto di domanda piantato in fondo al cuore. Ed è attraverso le domande del cuore che Dio ci educa alla fede: “Trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno” ripeteva Giovanni Crisostomo.

Infatti la prima cosa che Gesù chiede ai primi discepoli non è obbedienza o adesione, osservanza di regole o nuove formule di preghiera. Ciò che domanda è un viaggio verso il luogo del cuore, rientrare al centro di se stessi, incontrare il desiderio che abita le profondità della vita: che cosa cercate?

Gesù fa capire che a noi manca qualcosa; portiamo nel cuore una assenza brucia: che cosa ti manca? Manca salute, gioia, denaro, tempo per vivere, amore, senso della vita? Qualcosa manca, ed è per questo vuoto da colmare che ogni figlio prodigo si rimette in cammino verso casa.

Il Maestro del desiderio insegna desideri più alti delle cose. Tutto intorno a noi grida: accontentati. Invece il vangelo va controcorrente; Gesù conduce i suoi dal superfluo all'essenziale. E le cose essenziali sono così poche, ad esse si arriva solo attraverso la chiave del cuore.

(Don Agostino Banducci)

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Riflessione per la domenica 4 gennaio 2015 Seconda, dopo Natale

“PERCHE’ L’UOMO DIVENTI DIO”

La liturgia di oggi ci ripropone la centralità del Natale: “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,1).
L'essere uomo ha trovato ospitalità perenne nella vita di Dio. Il divino, senza rinunciare a se stesso, ha assunto in modo non transitorio l'umano. In lui, ora, oltre alla divinità, rimane per sempre presente anche l'umanità.

Il Verbo si è fatto carne”. E noi, qui sulla terra, cosa vediamo?
E’ bello pensare a Gesù come un uomo in cui scorgere, senza poterle né fondere, né separare, le fattezze di Dio. E ogni uomo assomiglia a Gesù. Assomiglia a Dio. Perché: “A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”. Domandiamoci allora: Qual è l’immagine del “figlio di Dio”?; in che modo noi possiamo esprimere la nostra somiglianza con Gesù?

Il “figlio di Dio” è un testimone di Dio. Questo avviene quando un uomo o una donna - ci dice Piero Stefani - “non può fare a meno di vivere per Dio anche quando quest'ultimo si cela ai suoi occhi. Neppure se entra in una notte in cui gli angeli hanno ripiegato le loro ali e hanno affogato nel silenzio il loro canto, egli può dimenticarsi di Dio. Ne testimonia la presenza perché, anche nelle tenebre, per lui Dio e il prossimo contano più di se stesso. Raro, ma non impossibile, incontrare nei nostri giorni sulla terra simili persone. Il loro cuore è un vero presepe vivente, una culla capace di contenere in sé i segni certi di Dio. Oggi l'antico detto patristico può essere trascritto così: Dio si è fatto uomo perché nelle nostre vite ci sia dato di incontrare uomini di Dio dei quali Gesù è l'icona massima e unica. «Dio stesso cambia la propria forma / nella forma dell'uomo, / affinché l'uomo diventi / non ovviamente Dio, /ma uomo davanti a Dio» Così affermava il pastore evangelico Dietrich Bonhoeffer, ucciso dalla furia nazista”.

Se questo è vero, è bello allora pregare con questa preghiera di Roberto Laurita che sotto vi propongo.

C'è una possibilità, Gesù,
che tu offri a tutti gli uomini:
diventare figli di Dio,
ricevere la tua stessa vita.
C'è un dono, una grazia,
che raggiunge proprio tutti:
accoglierla significa lasciarsi trasformare,
veder trasfigurata la propria esistenza.
Certo, non veniamo sottratti
alle fatiche e ai fallimenti,
alle sofferenze e ai contrasti
che affliggono tutti i mortali.
Ma in ogni frangente sappiamo
di non essere abbandonati
alle nostre risorse,
alle nostre capacità,
alle nostre energie.
Siamo certi di poter contare
in ogni momento su di te
e sul Padre tuo che continua ad amarci
anche quando commettiamo
stupidaggini e sbagli
e ci mostriamo infedeli e ingrati.
Certo, non possediamo la verità,
né teniamo in tasca una bacchetta magica
che ci assicura il successo
e ci esonera dal cercare ciò che è buono e giusto
in mezzo a tante proposte
dall'apparenza seducente.
Ma tu non ci lasci mancare
la bussola sicura e la luce
che non viene mai meno
anche nelle notti più oscure.

Don Agostino

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